Libertà religiosa ai ‘fischietti’. Il ruolo dell’arbitro nel contrasto tra regolamenti sportivi e precetti religiosi

Lo sport è soggetto al principio di autonomia normativa. Esso consente alle istituzioni sportive di introdurre regole in modo indipendente dall’ordinamento statale, purché i principi fondamentali di questo non siano violati. Queste regole, ispirate al principio di neutralità sul campo da gioco, possono entrare in conflitto con i precetti religiosi che orientano gli atleti-fedeli in comportamenti e pratiche (simboli religiosi, ritualità, stili di vita). A questo riguardo, va osservato che due sono i profili che sembrano richiedere tutela: a) il rispetto della religiosità, che è il sentimento religioso dell’atleta e dello spettatore, e il rispetto della libertà religiosa dell’atleta e dello spettatore; b) la protezione giuridica connessa alle decisioni che un arbitro può adottare davanti a comportamenti assunti nel rispetto di una norma religiosa in contrasto con le regole sportive.
Dall’autonomia normativa deriva anche l’autonomia della giustizia sportiva. Un atleta deve adire le autorità giudiziarie sportive per impugnare una decisione arbitrale. Tuttavia, l’art. 1, co. 2, della legge n. 280/2003 fa salvi “i casi di rilevanza per l’ordinamento giuridico della Repubblica di situazioni giuridiche soggettive connesse con l’ordinamento sportivo”. La tutela della libertà religiosa degli atleti rientra tra queste situazioni. In tal modo il principio di autonomia normativa dello sport subisce una deroga a protezione di quei diritti che nell’ordinamento italiano sono proclamati come fondamentali. Alla luce di tutto ciò, il contributo propone una riflessione sulla tutela che l’atleta può invocare nel caso ritenga di aver subito una lesione della propria libertà religiosa nel campo da gioco.

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