In linea con gli obiettivi di sviluppo sostenibile enunciati dalle Nazioni Unite e ulteriormente incrementato dalla crisi pandemica, il processo di progressiva digitalizzazione è stato presentato come un mezzo efficace per la gestione delle complessità quotidiane. Il cambiamento di paradigma ‘ciberneticamente orientato’, peraltro facilitato da una società sempre più digitalmente alfabetizzata, oggi investe non solo le istituzioni statuali ma anche le comunità religiose. Il saggio in esame intende quindi esplorare la potenziale compatibilità – e la progressiva sintonizzazione – tra gli standard valutativi deducibili dalla Dichiarazione europea sui diritti e i principi digitali e le riforme cibernetiche conformi alla sharīʿah attualmente in corso di realizzazione nel mondo musulmano. L’agenda digitale europea è qui utilizzata come cartina tornasole per esaminare le variegate risposte fornite, sia dai fedeli musulmani sia da autorità religiose, alla digitalizzazione di fonti sacre, risoluzioni, raccomandazioni e pareri legali formali. Nello scenario sopradescritto, il crescente utilizzo della lingua araba diviene una componente cruciale. Se, da un alto, gli aspetti semantici e linguistici rappresentano una potenziale sfida per la pluralizzazione degli islām a caratterizzazione domestica; dall’altro sono propedeutici al processo di digitalizzazione, di fatto promuovendo lo sviluppo di nuove tecnologie computazionali e predittive. Agendo in sintonia con il progressivo orientamento cibernetico dello spazio pubblico digitale, l’operato del Consiglio europeo per la fatwā e la ricerca chiarisce ulteriormente le dinamiche sopramenzionate. Presentandosi, in misura crescente, quale interlocutore unitario nei confronti di istituzioni europee e governi nazionali, i giurisperiti islamici di fatto promuovono la dimensione transnazionale e digitale della comunità musulmana globale (Ummah) virtuale. Prestando particolare attenzione ai profili antropocentrici, il saggio confronta dialogicamente punti di vista occidentali e islamici in relazione all’utilizzo della robotica e dell’intelligenza artificiale. Dall’indagine svolta a cavallo di questi due circuiti culturali, sembra emergere che le tecnologie dell’informazione e della comunicazione e l’IA – come muftī virtuali e avvocati robotici – possano fornire adeguato supporto senza per questo potersi completamente sostituire agli individui, siano essi giurisperiti islamici o professionisti del diritto occidentale. In questa fluida cornice digitale nascono nuove sfere pubbliche e, all’interno di tali inediti domini, gli standard etici presentano ipotizzabili profili di convergenza. In tal senso, sembrerebbe potersi rintracciare un sostanziale allineamento di intenti e atteggiamenti in due universi di esperienza. Acquisire consapevolezza di questo dato potrebbe promuovere fruttuose collaborazioni tra istituzioni europee e autorità musulmane, e ciò sia a livello sia nazionale che internazionale. Una sinergia cooperativa tra di esse si presenta quindi non solo come immaginabile ma, piuttosto, propriamente attuabile.
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