Abitare il sacro e diritto alla città. Percorsi di costruzione della soggettività giuridica: da clandestini a cittadini attraverso le chiese cristiano-ortodosse

Il presente contributo si configura come un’analisi interdisciplinare volta a indagare le connessioni tra la libertà religiosa, la regolamentazione dei luoghi di culto, i fenomeni migratori in rapporto anche all’esperienza del lavoro e la tutela dei diritti fondamentali degli esseri umani, con particolare riferimento ai processi di costruzione della soggettività giuridica nel quadro dell’ordinamento italiano. Il punto di partenza è rappresentato da un’analisi della dottrina in merito alla normativa vigente in Italia in termini di costruzione e gestione dei luoghi di culto nello spazio urbano. Uno spazio che verrà analizzato nella sua dimensione di significato e nella sua azione di significante per coloro che lo abitano. In tal senso, si proverò a far emergere la miopia categoriale che caratterizza in senso etnocentrico l’attività del legislatore nel processo di produzione di norme presuntivamente inclusive e sensibili a tutte le pluralità che abitano il territorio. Un approccio escludente nei confronti dell’alterità che si evince anche in altri contesti di normazione, dalla dimensione giuslavoristica alla disciplina delle migrazioni. La seconda parte dell’articolo sarà dedicata allo studio empirico sul campo. Quando si parla di spazio non si fa mai riferimento solamente a una cornice materiale in cui si dispiega l’esperienza degli esseri umani, ma a una parte integrante di essa. Per questo motivo non si dovrebbe parlare di un solo spazio ma piuttosto di ‘spazi di esperienza’: come tali, particolari, non universali, soggettivati dall’esperienza del singolo e delle comunità, e tuttavia traducibili. Comprendere a pieno questi meccanismi di generazione del pluriverso degli spazi dell’esperienza e dunque della soggettività coincide oggi più che mai con la sfida cruciale dello Stato democratico moderno, e dunque della prassi democratica. Intercettare i meccanismi dell’abitare nel territorio da parte delle comunità migranti, e non solo, diventa essenziale per poter rispondere sia alle necessità dettate dal principio di effettività costituzionale applicato alle norme in materia di edilizia di culto, sia per garantire un discorso di libertà religiosa che necessariamente rivendica la polisemicità i suoi circuiti di autodeterminazione. Del resto, nel momento in cui una libertà è costituzionalmente riconosciuta, essa non è più definibile in modo etero-determinato da parte del legislatore ordinario, poiché questo sancirebbe il fallimento degli ideali del costituzionalismo che invece la Repubblica dovrebbe tutelare.

I commenti sono chiusi.