Damanhur e il lavoro senz’anima. Il lavoro prestato dai “damanhur” in favore della Comunità è pratica devozionale o lavoro subordinato?

L’ordinamento giuridico italiano presume che l’attività lavorativa sia prestata a titolo oneroso e pur non escludendo la possibilità che alcune attività siano svolte per mero motivo di “affezione o benevolenza”, impone a chi sostenga la natura eccezionale del rapporto lavorativo di assolvere a un rigoroso onere della prova circa l’eccezionale motivazione che anima il prestatore. Vi sono casi in cui tuttavia l’individuazione di tale motivazione si rivela particolarmente ardua, come nel caso delle prestazioni rese dai suoi aderenti alla Federazione di Comunità Damanhur, in ossequio al generale principio per cui il lavoro ha valore spirituale ed è strumento di “donazione di sé agli altri”. Nel presente contributo, partendo dall’esame di una complessa vertenza giudiziaria che ha interessato una fuoriuscita da Damanhur che avanzava pretese economiche nei confronti della comunità per il lavoro prestato in suo favore nei circa venticinque anni di permanenza, si intende porre in evidenza come l’attuale ordinamento giuridico non sia in grado di regolamentare compiutamente realtà tanto complesse, ove un’aggregazione volontaria di persone che condividono un medesimo progetto di vita fortemente caratterizzato in senso spirituale istituisce un’organizzazione allo scopo di garantire ai membri meccanismi solidaristici e di reciproco aiuto.

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