Non credo, dunque sono. Credere e non credere, ovvero due facce della stessa medaglia, in una recente ordinanza della Cassazione

Il saggio prende avvio dall’esame della pronuncia della Corte di Cassazione n. 7893 del 17 aprile 2020 avente a oggetto il riconoscimento per l’UAAR del diritto di propaganda ai sensi dell’art. 19 Cost. In particolare, il Comune di Verona aveva rigettato la richiesta di affissione da parte dell’UAAR di dieci manifesti recanti la parola «Dio», con la lettera «D» a stampatello barrata da una crocetta e sotto la dicitura «10 milioni di italiani vivono bene senza D. E quando sono discriminati c’è l’UAAR al loro fianco», poiché aveva considerato il contenuto della comunicazione potenzialmente lesivo nei confronti di qualsiasi religione. Il diniego di affissione era stato confermato sia dal Tribunale di primo grado sia dalla Corte di appello di Roma. Sarà la Corte di Cassazione che ribadirà la pari libertà di ciascuna persona che si riconosca in una fede, quale che sia la confessione di appartenenza di professarla liberamente, anche quando si tratti di un credo ateo o agnostico; dal riconoscimento del diritto di ‘libertà di coscienza’ anche agli atei o agnostici, discende il diritto di questi ultimi di farne propaganda nelle forme che ritengano più opportune, secondo la previsione aperta e generale dell’art. 19 Cost. Si mostrerà come la giurisprudenza italiana nel corso del tempo abbia tardato nel riconoscere la parità di trattamento tra credenti e non credenti, al contrario di quanto non avvenisse già nel diritto comunitario e internazionale, in cui la libertà di coscienza – ricomprendendo la libertà di non avere alcun credo religioso – ha trovato da sempre una tutela piena e incondizionata.

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