Il presente contributo offre alcune riflessioni filosofico-giuridiche sulla concezione di giudizio, pena e premio nella Divina Commedia, interrogandosi su come il Sommo Poeta connetta il comportamento umano alle conseguenze metafisiche collegate alla responsabilità personale. Questo conduce a investigare quali modelli di giustizia siano sottesi al sistema di punizioni e premi descritto nella Divina Commedia. Se, da un lato, prevale un criterio di stampo retributivo (evidente nell’Inferno e nel Paradiso), caratterizzato da conseguenze definitive, la Commedia contempla anche un modello riconducibile al concetto di emenda, visibile nel Purgatorio. Qui la proporzionalità afflittiva, sempre iscritta nel rispecchiamento del contrappasso, assume un significato e uno scopo differenti rispetto a quanto accade nell’Inferno, perché si tratta di una sanzione non definitiva e dotata di una processualità orientata alla purificazione salvifica dell’anima. La rappresentabilità di un’idea divina di giustizia, la possibilità di coglierne la ratio quale partecipazione all’ordine cosmico, non deve far cadere tuttavia nel rischio di perdere di vista l’incommensurabilità che sussiste fra giustizia umana e giustizia divina, che nel Paradiso in particolare evidenzia la sua trascendenza. Il complesso e misterioso bilanciamento fra misericordia e giustizia, nella dimensione ultimativa e ultraterrena, è quindi ambito che non compete alla limitata ragione umana e ciò vale come monito a non costituire una giustizia terrena che si pretenda ‘traduttiva’ o ‘imitativa’ di quella divina.
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