La musica è un potente ‘symbolon’, in grado di tenere insieme i fedeli e i popoli che la condividono e di fungere da veicolo per la trasmissione delle culture e delle tradizioni religiose. Tra tutte le arti, la musica è quella che più delle altre riesce a consentire a ciascun fedele di esprimere la propria religiosità. Essa costituisce lo strumento elitario per la connessione con il divino, per manifestare la propria appartenenza religiosa e per tramandare e diffondere i precetti fideistici. Essa può inoltre essere parte integrante della ritualità di una confessione religiosa. Le religioni, infatti, da sempre utilizzano la musica per i propri atti di culto, in quanto essa è un importante strumento di aggregazione sociale.
La musica è anche un metodo straordinario per il superamento dell’alterità. Essa è un’efficacissima ‘arma’ contro l’irrazionale rifiuto del diverso e aiuta ad abbattere le barriere della comprensione culturale che sono da sempre ostacolo alla costruzione di una serena convivenza delle fedi.
Tra le forme di espressione della libertà religiosa la musica si colloca dunque in una posizione preminente proprio per il suo contenuto emozionale che trascende il semplice linguaggio delle parole e arriva diretta al cuore e alla mente dei fedeli. Allo stesso tempo, è un’opera dell’ingegno e come tale si scontra a volte con la rigidità del sistema normativo posto a tutela del diritto d’autore e della commercializzazione del prodotto. Risulta dunque evidente il contrasto tra le legittime aspettative degli operatori economici e l’utilizzazione da parte dei fedeli e delle comunità dei brani musicali per le proprie attività religiose. Le norme costituzionali che tutelano il fattore religioso forniscono però al giurista tutti gli strumenti per risolvere tale conflitto ed individuare i protocolli operativi necessari per un corretto esercizio della ‘libertà religiosa in musica’.